La definizione di felicità
Il 20 marzo è la giornata internazionale della felicità.
In questa occasione così speciale parliamo di lei: la felicità.
Un termine abusato, al limite dell’usura. Indefinibile seppur denso di significato.
Per i greci la felicità era l’“eutychía” ovvero “la buona sorte”.
Lo stesso vale oggi per la lingua tedesca dove la parola “glück” unisce il significato di “felicità” e di “fortuna”.
E forse non ti sei mai accorto che anche la parola “happiness”, “felicità” in inglese, deriva dal verbo “to happen”, “accadere” proprio per simboleggiare la sporadicità dell’essere felici.
Ma può essere questa la definizione di felicità oggi?
Uno studio dell’Università della Virginia ha analizzato le definizioni di felicità di 30 nazioni, dal 1850 ai tempi moderni, e monitorato l’uso della parola “felicità” nei libri, pubblicati dal 1800 al 2008.
I risultati hanno rivelato che le definizioni di felicità meno recenti si concentravano sulla fortuna e sulla casualità, a differenza di quelle più moderne che esprimono la felicità come uno stato d’animo interiore.
Felicità: un bene comune, un diritto prezioso
Seppur difficile da definire, è così importante da essere entrata nella Costruzione. Non in quella italiana ma in quella americana, datata 1776.
“Tutti gli esseri umani sono dotati di diritti inalienabili come la vita, la libertà e alla felicità”.
In questo caso la felicità è considerata uno degli obiettivi principali da raggiungere non solo dai singoli individui ma dall’intera nazione, un diritto necessario per l’esistenza dello Stato.
Infatti, promuovere una cultura fondata sulla felicità e sul benessere dei cittadini può migliorarne la qualità della vita e accrescere il bene comune, riflettendosi anche sull’economia.
Per questo motivo il suo studio è sempre più discusso, nelle arene accademiche e nella politica.
Come rendere misurabile ciò che non lo è: il caso della felicità
“Misura ciò che è misurabile e rendi misurabile ciò che non lo è” suggeriva Galileo Galilei.
Perché soltanto ciò che può essere misurato può essere gestito.
Ed è per questo che monitoriamo tutto ciò che è importante: per valutare i progressi fatti nel tempo, per motivarci o per raddrizzare il tiro quando stiamo sbagliando qualcosa e ci stiamo allontanando dal nostro obiettivo.
Ma misurare cose intangibili, come la felicità, non è semplice. Ancor di più quando si tratta di qualcosa di estremamente soggettivo. Eppure, ci hanno provato.. e con metodi più o meno creativi.
Ne è un esempio la Felicità Nazionale Lorda (Bhutan’s Gross National Happiness).
Questo indicatore nasce già nel 1971 nel Regno del Bhutan, un piccolo stato situato alle pendici della catena dell’Himalaya. Anno dopo anno, il governo esamina il benessere psicologico, la salute, l’istruzione, lo standard di vita e l’uso del tempo dei cittadini.
Decisamente più attuale il progetto italiano Humandive che nel 2022, grazie a ricercatori, neuroscienziati e psicologi, ha validato il test MH (Measure of Happiness).
Si tratta di uno strumento psicometrico formato da 14 domande che spaziano dal lavoro alle amicizie, dal rapporto di coppia alla famiglia.
Le risposte vengono rielaborate da un algoritmo che fornisce gli strumenti necessari per poter migliorare la propria vita.
Anche i social media ci hanno fornito differenti metriche utilizzate per valutare il livello di felicità.
Ad esempio, nel 2013 i ricercatori dell’Università del Vermont provarono a individuare i luoghi più felici negli Stati Uniti.
Come? Esaminando 80 milioni di parole digitate su Twitter.
Allo stesso modo nel 2014 la compagnia Jetpac City Guides ha cercato il paese più felice al mondo, per lo meno su Instagram. In questo caso, infatti, sono state analizzate 150 milioni di espressioni facciali dalle foto di Instagram geo-taggate.
Ma viene da chiedersi… sorrisi genuini?