Nel mondo delle startup, un unicorno è un’azienda che ha raggiunto almeno un miliardo di dollari di valutazione ed è caratterizzata da una crescita esponenziale oltre che dal dominio del mercato di riferimento.
Ma questi unicorni, dovendo crescere in tempi molto brevi, hanno la necessità di spendere somme significative e contemporaneamente accumulare perdite sostanziali nei primi anni di attività, alimentando così la loro dipendenza dalla raccolta di grandi quantità di denaro, provenienti principalmente da investimenti in equity.
Secondo i dati dell’OECD, nel solo 2018 a livello globale gli investimenti di venture capital hanno raggiunto quota 156 miliardi di dollari contro i “soli” 98 miliardi investiti nell’anno precedente (registrando così un aumento del 59% rispetto al 2017).
Se da un lato questi dati sono indicativi di un vivace mercato in via di sviluppo, dall’altro sono il segnale dell’insostenibilità di questo modello.
Le startup di oggi sono in una corsa frenetica verso il prossimo round di capitale più grande e migliore. I seed round del 2018 sono i round di serie A di cinque anni fa, i round di serie A sono i nuovi round B.
Esiste quindi un altro modo di creare sviluppo e prosperità a partire da una nuova generazione di startup e da un nuovo modo (sostenibile) di concepire la raccolta di capitali?
Sì, e si presenta sotto forma di un nuovo animale: stiamo parlando delle zebre.
Cos’è una zebra?
Lo “Zebra movement“, così come conosciuto su larga scala, ha visto la luce nel 2017 quando Astrid Scholz, Mara Zepeda, Jennifer Brandel e Aniyia Williams, quattro imprenditrici impegnate a costruire le loro startup, si resero conto di non voler più competere con gli unicorni e con il modello di venture capital predominante.
Le quattro founder decisero quindi di pubblicare un saggio che affermava:
“L’attuale struttura della tecnologia e del venture capital è rotta. Premia la quantità sulla qualità, il consumo sulla creazione, le exit veloci sulla crescita sostenibile, e il profitto degli azionisti sulla prosperità condivisa. Insegue le aziende unicorno focalizzate sulla ‘disruption’ piuttosto che sostenere le imprese che riparano, coltivano e connettono”.
La pubblicazione del saggio ricevette immediato riscontro da parte di centinaia di fondatori di startup, investitori e sostenitori a vario titolo, tutti d’accordo su un principio: “Non possiamo vincere a questo gioco“.
Sulla base di questi presupposti, Scholz, Zepeda, Brandel e Williams hanno pubblicato il manifesto del movimento delle zebre, una lettura fondamentale per chiunque voglia far crescere il proprio business in modo sostenibile. Il movimento si fonda su tre principi:
• L’elemento distintivo di questa tipologia di aziende è il duplice scopo che perseguono: non solo cercano la redditività in termini economici, ma mirano anche ad avere un impatto positivo sulla società, senza sacrificare l’uno per l’altro. Per usare le parole di Mara Zepeda: “le zebre sono sia bianche che nere“.
• Le zebre sono anche mutualistiche: unendosi in gruppi, si proteggono e si preservano a vicenda. Il loro input individuale si traduce in un output collettivo più forte.
• Le zebre sono costruite con una resistenza e un’efficienza del capitale senza pari, finché le condizioni permettono loro di sopravvivere.
Ciò che rende le zebre realmente diverse dagli unicorni, nonché l’elemento comune ai tre principi appena enunciati, è il metodo utilizzato nel portare avanti il loro progetto imprenditoriale: piuttosto che impiegare preziose energie nell’attrarre nuovi investitori, queste startup preferiscono utilizzare metodi alternativi per la raccolta di capitali (ad esempio, finanziamenti revenue-based), potendosi così focalizzare maggiormente sulla crescita costante dei propri ricavi e sulla creazione di un impatto positivo nel territorio di riferimento.
Che futuro aspettarsi?
Che si condividano o meno i principi fondanti, l’impatto che lo Zebra movement sta avendo nel mondo delle startup è innegabile, grazie anche a diversi casi di startup di successo ispirati da questa iniziativa.
Per questo motivo, la vera domanda a cui un founder dovrà rispondere nei prossimi anni non sarà più “qual è la vostra strategia di crescita?” ma “in che modo la vostra strategia di crescita sarà d’aiuto all’intero ecosistema?“.