Smartphone, action camera, spy camera, occhiali con videocamere e poi droni, gimbal. Ed ancora piattaforme digitali dove andare live nel tempo di un click. Con il boom delle tecnologie e con il potenziamento delle reti che permettono connessioni sempre più veloci e rapide, tutti possono ormai trasformarsi in giornalisti nel tempo di uno swipe. Ma se per molti questo appare come un fenomeno degli ultimi tempi, in realtà il citizen journalism è sempre esistito, viaggiando di pari passo ma seppure ben nascosto, con la professione dalla quale prende spunto. La differenza, rispetto ai tempi passati, è che ora il giornalismo fatto in strada dalla persona comune ha subito un’accelerata senza eguali tanto da aver superato, in termini di contenuti creati e diffusi, quanto riescono a produrre nel medesimo arco di tempo i media outlets ufficiali.
Basti pensare ai racconti più celebri, forse primogeniti di quel citizen journalism come lo conosciamo oggi: Tim Pool, blogger di “Occupy New York City” nel 2011 trasmise per ore e ore le proteste da Wall Street, passando alla celebre Primavera Araba che coprì un arco di ben due anni, dal dicembre del 2010 allo stesso mese del 2012, avendo in Twitter una vera e propria cassa di risonanza su scala globale, fino ai continui video caricati su YouTube di cittadini che, nel corso dell’ultimo decennio, hanno costantemente documentato i bombardamenti lungo i territori della striscia di Gaza.
La svolta su scala globale
Le camere degli smartphone sono effettivamente diventate una minaccia per le grandi media companies che hanno visto traslare il loro pubblico dai canali tradizionali, tv, radio e carta stampata, verso il mondo del web. La rivoluzione digitale, grazie ai citizen journalists, è scoppiata all’improvviso e non tutti hanno effettivamente capito cosa stava accadendo. Fin quando si è giunti in un momento durante il quale, anziché considerare concorrenti i registi improvvisati dell’ultima ora, si è pensato bene di considerarli dei veri e propri produttori di contenuti, al pari dei professionisti o delle agenzie di stampa.
Con tutti i rischi del caso: il primo tra tutti, valutare la provenienza del contenuto che richiede tempo ed energie per non incappare in un falso. Il secondo riguarda invece uno dei temi più delicati: la privacy. Non perché hai un camera tra le mani che ti permette di immortalare qualsiasi cosa, hai tutti i diritti per farlo. Ma l’evoluzione dei fatti, che è sotto agli occhi di noi tutti, basta scrollare l’home page di qualsiasi sito ufficiale di informazione o vedere qualsiasi telegiornale in prima serata, sta chiaramente beneficiando dei citizen journalist e della loro capacità di raccontare e diffondere la realtà che li circonda.
Il cinema a portata di click
Molti produttori televisivi in più occasioni hanno ammesso che con il materiale che gira sui social si può davvero realizzare un film dal risultato incredibile. Per avere una dimostrazione, non serve neppure andare molto lontano solcando i sette mari.
Esistono esempi del genere in casa nostra: il regista Gabriele Salvatores coordinò del 2013 “Italy in a day”, un docu-film nel quale raccontava l’Italia vista dai suoi cittadini e vissuta nell’arco delle 24 ore, prendendo spunto da un progetto simile dal titolo “Life in a day” di Kevin Macdonald. Decine di migliaia i video girati con lo smartphone da normali cittadini sono stati inviati al premio Oscar con un successo finale che gli è valso un premio ai Nastri d’Argento, tanto da decidere di replicare l’iniziativa anche in occasione dell’emergenza sanitaria in atto scegliendo il titolo “Viaggio in Italia”.
La capacità delle persone di girare un video ha ormai raggiunto dei livelli accettabili tanto che gli algoritmi delle stesse piattaforme social premiano sempre di più quei video che rispecchiano determinate caratteristiche, partendo comunque dall’essere già girati con una qualità interessante per merito di smartphone sempre più video-and-photo-based.
Trovarsi a tu per tu con una breaking news
Una cosa è però rispondere all’invito di un regista che chiede di filmare i momenti della propria giornata, quindi con la consapevolezza di doverlo fare e anche con una preparazione mentale e tecnica nel farlo, una cosa invece è trovarsi improvvisamente di fronte a quella che tecnicamente viene definita una breaking news.
Un accadimento unico che nel giro di pochi minuti è finito su tutti i giornali ed è diventato trending topic sui social. “Che peccato, se avessi scattato qualche foto o fatto qualche ripresa col mio smartphone, ora sarei ricco…”, ecco anche cosa avrebbe potuto pensare il nostro fortunato cittadino alle prese con la notizia del momento. Ma fare il match, a dirla all’inglese, ossia trovarsi di fronte alla breaking news e allo stesso tempo sfruttarla dal punto di vista economico, non è quasi mai facile. Soprattutto se non si è del mestiere e non si fa parte del “giro”. Ora, però, giunge in aiuto un’app che offre la possibilità a tutti di calarsi nei panni del citizen journalist e, se si è abbastanza fortunati e anche bravi a cogliere il momento, pure di guadagnare qualcosa raccontando i fatti più curiosi o sensazionalistici che capitano a tiro.
Si chiama MyScoop e nasce proprio per mettere in connessione i “giornalisti improvvisati” con le media companies, sia piccole che medie e grandi, a livello locale, nazionale o internazionale.
Come cogliere l’attimo (e guadagnarci)
MyScoop, disponibile sia sullo store Android che Apple, offre due profili, uno freemium per i singoli utenti e uno a pagamento per le aziende a un costo che si aggira sugli 8 euro al mese. L’app permette a tutti di caricare video e foto realizzati da chiunque. Lo fa sia in modalità “plain”, nel senso senza grafiche o scritte di nessun genere, o anche utilizzando dei template per chi vuol personalizzare il proprio prodotto creandosi una sorta di proprio news channel.
L’aspetto più importante di MyScoop però riguarda il fatto che a vedere i video e le foto caricate non sono semplicemente gli altri utenti dell’app, o citizen journalists per rimanere nell’ambito, ma anche responsabili delle media companies che sono soliti sondare il terreno per scovare notizie interessanti generate proprio da persone comuni. Cosa che avviene già di norma sulle piattaforme social, da Twitter e Facebook passando per Instagram, TikTok e Youtube. Dove sempre di norma (ma non sempre) il responsabile dell’azienda chiede al proprietario del profilo se è possibile prendere quel contenuto con la scambio di cortesie che si trasforma semplicemente nella citazione della fonte. Nel cento per cento dei casi non c’è mai una proposta economica dalla controparte soprattutto se si tratta di un contenuto originale. MyScoop vuole invece invertire la tendenza a favore del cittadino-giornalista, affinché se il suo contenuto dovesse essere originale, interessante e unico, è giusto che percepisca un compenso da una società che lavora nel campo dell’informazione, e non solo il plauso dei telespettatori o dei lettori che vedono citato il suo nome in sovraimpressione oppure nella didascalia di una foto.
Pubblicare contenuti su MyScoop è molto semplice: c’è un grande pulsante rosso che indica che l’app è pronta a riprendere video o scattare foto. Si possono fare video fino a 60 secondi e scattare fino a 10 foto o caricare anche contenuti già presenti nel proprio smartphone. Si può anche capovolgere la fotocamera per fare un pezzo in stile selfie con la fotocamera frontale e usare il teleprompter per impostare una sceneggiatura che apparirà sullo schermo mentre si riprende. MyScoop offre anche ulteriori opzioni che consentono di ritoccare il prodotto realizzato, come ritagliarlo, aggiungere effetti, testo, adesivi e anche aggiungere un collegamento a un sito web esterno.
C’è anche la funzione “Mission” che permette al citizen journalist di aderire a un progetto editoriale proposto da una media company la quale, anziché attendere di scovare del materiale interessante, propone agli utenti dell’app di crearlo ex novo con in cambio un compenso economico già stabilito in partenza. Ma anche lo stesso utente può proporre una sua idea di “scoop” e attendere la risposta della società anziché realizzarlo prima con ovvio risparmio di tempo e risorse.