Le organizzazioni sono sistemi complessi, che operano in ambienti complessi, soggetti a cambiamenti continui generati da fattori esterni non sempre prevedibili.
Molti dipartimenti si prefiggono il cambiamento come obiettivo assumendo erroneamente di trovarsi in un contesto stabile privo di interferenze e altamente controllabile.
In un mondo che si trasforma velocemente dobbiamo imparare a convivere con i cambiamenti e sviluppare, altrettanto velocemente, una naturale reattività nei confronti di ciò che è nuovo.
Cosa abbiamo imparato nel 2020
Ci sono tre cose che in questo anno abbiamo forse imparato più di ogni altra:
- Il mondo che conosciamo e le nostre abitudini possono cambiare improvvisamente e drasticamente.
- Organizzazioni attive in settori diversi, di dimensioni diverse e in aree geografiche diverse non sono immuni a repentini cambi di abitudini di persone e consumatori.
- L’uso di nuove tecnologie e la transizione verso il digitale hanno subito un’improvvisa accelerazione destinata a restare ed aumentare nei giorni a venire.
Durante i mesi di lockdown che hanno caratterizzato il 2020 abbiamo imparato a vivere rispettando il distanziamento sociale, a lavorare in ambienti domestici, a gestire le nostre comunicazioni esclusivamente mediante un dispositivo e a programmare la nostra quotidianità per mezzo di applicazioni.
Applicazioni con cui prenotare l’ingresso in palestra, il proprio posto in fila al supermercato, per fare la spesa, per visionare il menù di un ristorante, per tracciare le persone incrociate in strada ed altro ancora.
Se da un lato, come individui abbiamo improvvisamente dovuto modificare le nostre abitudini, dall’altro, le organizzazioni hanno dovuto ripensare e cambiare i loro modelli operativi altrettanto improvvisamente.
Già da anni anni in realtà è in corso un cambiamento con cui acquirenti e venditori interagiscono tra di loro ma oggi, a cambiare, non è solo la mimica tra le due parti ma la nostra quotidianità diventata (quasi forzatamente) sempre più digitale.
Personalizzazione, get-it-now e la necessità di avere sistemi estremamente intelligenti in grado di configurare lo spazio che ci circonda hanno obbligato le organizzazioni a rivedere le proprie strategie e a rispondere con nuovi servizi e prodotti.
Cloud, intelligenza artificiale e IoT non sono più materia esclusiva di tech startup ma argomenti quotidiani sulle scrivanie di ogni CEO.
La necessità di avviare una trasformazione digitale sta spingendo le organizzazioni in un campo nuovo in cui collaborazione, innovazione e nuovi modelli di business non sono più elementi secondari ma necessari per garantire continuità di business.
Il ruolo dell’innovazione
Come utenti e consumatori diamo per scontate le tecnologie digitali.
Non siamo più impressionati dal fatto che sempre e ovunque possiamo fare acquisti, noleggiare un mezzo di trasporto, pagare le bollette, vedere un film o trovare automaticamente popolata la nostra playlist preferita.
Non ci chiediamo perché queste cose siano possibili; semplicemente ce le aspettiamo quando ci servono.
È’ un sentimento diffuso, quando si parla di innovazione, pensare che solo piccoli gruppi fortemente destrutturati possono essere dirompenti o capaci di “inventare il futuro”.
Compagnie tecnologiche gestite e guidate da giovanissimi che cambiano il mondo a colpi di Facebook, Uber o Airbnb nate in un garage e a volte non curanti delle regole.
E se non si è una di queste, non si è Apple, Amazon o Google… la lotta per la sopravvivenza in un modo sempre più digitalizzato diventa un’impresa estremamente ardua.
Del resto come può un’organizzazione tradizionale nata in un’epoca non digitale e soggetta a regolamenti interni, processi e burocrazia essere così veloce da saper mutare e prontamente rispondere ad ogni cambiamento?
Non tutte le organizzazioni sono in grado di crescere bilanciando una visione di lungo e medio termine.
La storia ci ricorda più di un brand che, nonostante la sua posizione di leadership sul mercato, non solo non è riuscito a sfruttare il suo vantaggio competitivo, ma ha addirittura perso il proprio posizionamento restando dietro a competitor arrivati molto dopo, fino a sparire perché non più in grado di colmare il divario creatosi.
Nokia, Kodak sono alcuni degli esempi più emblematici.
La prima che non immaginava l’ingresso di altri player nel mercato della telefonia e la seconda, invece, che per salvaguardare il suo modello di ricavi basato sulla stampa fisica, ostacolò la nascita delle fotocamere digitali.
Saper innovare è diventato prioritario, ma cosa vuol dire innovazione?
Wikipedia definisce l’innovazione così:
L’innovazione è la dimensione applicativa di un’invenzione o di una scoperta.
L’innovazione riguarda un processo o un prodotto che garantisce risultati o benefici maggiori apportando quindi un progresso sociale, anche se a volte non sempre efficaci e migliorativi rispetto a ciò che va ad innovare.
La differenza tra una società posizionata sul mercato e una in grado creare un mercato, non è tanto la capacità di evolvere o inventare un prodotto, bensì la capacità di inventare un nuovo modello di business.
Ad esempio, penso ad Apple quando nel 2001 presenta l’iPod.
Il lancio fu accompagnato da uno slogan semplice quanto immediato: 1.000 canzoni in tasca.
Se per molti l’iPod ha stravolto il mercato musicale (sicuramente quello del consumo e riproduzione della musica), la vera innovazione non fu l’oggetto in sé o la sua capacità di storage nettamente superiore rispetto ai lettori mp3 già presenti sul mercato, ma la creazione nel 2003 di uno store, l’iTunes Music Store, dove comprare in formato digitale solo la musica che si voleva ascoltare.
La possibilità di pagare una o due canzoni e non più un intero album come eravamo costretti a fare prima.
Prima di iTunes la musica digitale in formato mp3 si scaricava illegalmente o si condivideva rippando cd audio; lo store di Apple non è stato il primo in assoluto dove poter comprare musica digitale ma sicuramente è stato quello che ha indotto il cambiamento delle nostre abitudini a discapito degli store fisici.
Allineare persone, processi e tecnologie
In un momento di forti incertezze è vitale saper sopravvivere ai cambiamenti considerandoli condizioni normali.
Le vicende che stiamo vivendo hanno reso evidente come la capacità di sapersi reinventare, nel business e non solo, non può essere più una caratteristica di pochi.
Bisogna agire presto, bisogna agire in fretta ma… come e con quale modello?
A dare una risposta (parziale) ci ha in parte provato anni fa Eric Ries con la pubblicazione di “The Lean Startup” introducendo in modo semplice la metodologia lean.
Ries traccia una linea netta, una scissione tra il vecchio e il nuovo modo di pensare ad un prodotto, annunciando che il mondo è cambiato.
Il testo si basa sui principi che hanno guidato il processo produttivo di Toyota (conosciuto come lean manufacturing, lean production o più semplicemente lean) facendo una semplificazione di quanto già applicato da Steve Blank nell’ecosistema startup.
La metodologia lean ha come obiettivo quello di ridurre ogni azione inutile allo sviluppo di un business, iterando e validando idee molto velocemente.
Basata su un modello empirico e l’analisi di dati, favorisce la prototipizzazione per muoversi velocemente in scenari di business sconosciuti e rendere meno oneroso un eventuale cambio di direzione.
La lista di prodotti di successo decollati grazie al suo uso sono svariati.
Servizi usati quotidianamente da milioni di persone come Dropbox, Groupon, Airbnb e tanti altri ancora.
Questo nuovo modello, inizialmente utilizzato per lo più da piccole startup, ha dato vita ad un vero movimento che progressivamente ha raggiunto anche il mondo corporate. General Electric ad esempio ha sfruttato la metodologia lean per avviare un programma di innovazione interna.
Un mantra abbracciato da tantissimi, grandi e piccoli, che hanno fatto dell’agilità la panacea di tutti i mali credendo che bastava prendere il modello lean, replicarlo in alcuni dipartimenti di un’organizzazione tradizionale per trasformarla l “automaticamente”.
Tuttavia, nonostante l’entusiasmo e gli sforzi fatti sono pochi i casi in cui si sono raggiunti vantaggi significativi.
Cosa non ha funzionato?
Perché gli stessi principi se applicati a società “più piccole” quale una startup portavano vantaggi e non li portavano invece a strutture più grandi e spesso con maggiori disponibilità economiche?
Perché a distanza di anni ancora oggi inseguiamo cambi improvvisi e adeguarci avviene ad un costo altissimo?
L’utilizzo della metodologia lean o l’adozione di principi agili condividono un modello operativo sicuramente efficiente, ma da soli non colmano una differenza sostanziale tra le organizzazioni tradizionali e quelle nate digitali: mentre le prima operano seguendo modelli di business già consolidati le seconde ne inventano di nuovi.
La capacità di saper creare innovazione viene spesso vista come l’esecuzione di azioni creative completamente slegate tra di loro atte a stimolare nuove idee.
Saper innovare diventa invece un’effettiva capacità di un’organizzazione nel momento in cui l’innovazione viene progettata come un processo che investe tutta l’azienda.
Mettere le persone, i processi e le tecnologie al centro di un sistema aperto che incentivi il test-and-learn per ridefinire la propria proposta di valore.
Un nuovo ambiente basato su prove e apprendimento richiede una cultura basata sull’evidenza: persone che ipotizzano, sperimentano, raccolgono dati, misurano i risultati e utilizzano i risultati per guidare i passi successivi.