Negli ultimi anni il termine blockchain ha acquisito una tale forza da essere definita una tecnologia disruptive, in questo articolo approfondiremo l’impatto sociale che ha avuto e che sta avendo sulla quotidianità di aziende e privati.
La blockchain è stata considerata una disruptive technology poiché rivoluziona il modo in cui interagiamo le informazioni basandosi tre principali concetti:
- Traccia e conserva – il sistema decentralizzato e distribuito tra un’estesa rete di nodi diventa uno strumento sicuro per tracciare eventuali cambiamenti dei dati immessi;
- Trustless – questo è il concetto fulcro dell’innovazione della tecnologia blockchain. Infatti per la prima volta nella storia dell’umanità i soggetti possono scambiarsi tra loro denaro senza la presenza di un intermediario finanziario, rendendo trustless tutte le informazioni ivi inserite;
- Peer To Peer – in questo sistema non ci sono intermediari. Invece di condividere le nostre informazioni con un intermediario, quali banca o avvocato, le condivideremo direttamente con altri nodi partecipanti al network.
Quanto è stato disruptive Satoshi Nakamoto?
Domanda tanto lecita quanto discussa, ha scaturito nelle menti di molti, numerosi dubbi.
La blockchain intesa come tecnologia alla base di Bitcoin, ha costituito per molti un vero e proprio cambio di paradigma culturale, oltre che economico, ma qualcosa ancora sembra non aver dato del tutto i suoi frutti.
Da millenni sappiamo bene che il potere di emettere moneta è stato sempre e comunque insito nel concetto unico di Impero prima, e Stato poi. Con l’avvento di Bitcoin questo non è stato più così. Ad inizio 2009 Satoshi Nakamoto ha, per la prima volta nella storia, dato vita a una vera rivoluzione filantropica.
La moneta da quel momento in poi non è stata più prerogativa esclusiva di un ente centrale, ma il concetto di “coniare” nuovi quantitativi di criptovalute è conferita ai partecipanti al network attraverso un sistema di reward per coloro che vi interagiscono. Non sono però qui per analizzare tecnicamente la tecnologia, quanto per comprendere insieme a Voi quale ingranaggio manca per avere impatto sostanziale sulla società odierna.
Il contesto storico: Bitcoin come reazione
Bitcoin nasce dalla frustrazione e dalla mancanza di fiducia nelle Banche Centrali e nel Governo, in gran parte causata dalla crisi finanziaria del 2008, rubricata come il peggior disastro finanziario dalla Grande Depressione.
I controlli e gli equilibri che avrebbero dovuto essere in atto per proteggere le masse erano stati scardinati a beneficio di pochi. Nel febbraio 2009, un mese dopo aver eseguito la prima transazione, l’inventore o gli inventori di Bitcoin, Satoshi Nakamoto ha/hanno dichiarato:
“Il problema principale della valuta convenzionale è riposto nella fiducia necessaria per farla funzionare. Ci si deve fidare delle Banche Centrali per non svilire la valuta, ma la storia delle valute legali è piena di fatti che ne dimostrano la violabilità.
Bisogna avere fiducia che le banche trattengano il nostro denaro e lo trasferiscano elettronicamente, ma al contrario queste ultime lo prestano in operazioni speculative che vanno a costituire bolle di credito con appena una frazione di riserva. Dobbiamo affidare loro la nostra privacy. Dovremmo fidarci di loro per non permettere a malintenzionati di derubarci. Bitcoin è uno strumento affidabile di valore percepito e concordato al fine di effettuare transazioni tra entità note e pseudonime in un mondo digitale.”
Dati i presupposti, ad inizio 2009, pochi erano coloro i quali credevano già in questo progetto. Con il passare del tempo sono stati molteplici gli attori, anche istituzionali, che hanno cavalcato l’onda. Attenzione però, arrivati a questo punto è necessario tener presente che Bitcoin è molto di più del valore venale attribuitogli dal mercato. Proprio per questo che la strada da fare è ancora lunga.
Bitcoin l’evoluzione sociale: il dump della conoscenza
Il valore acquisito dal termine Bitcoin prima, e Blockchain poi, ha portato grandi aziende sul mercato internazionale a utilizzare queste parole impropriamente. Infatti nel 2018 dopo il pump (crescita esponenziale del valore di Bitcoin), del dicembre precedente, tutti o quasi, avrebbero voluto avere la tecnologia blockchain affiancata alla propria azienda.
A questo punto però è successo ciò che non sarebbe dovuto accadere. Molti pur di vedere spinta sui motori di ricerca la propria azienda, ma anche offline, hanno utilizzato tecnologie totalmente differenti spacciandole per blockchain. L’uso improprio ha generato una confusione tale da indurre anche attori più piccoli a utilizzare in maniera totalmente impropria questa parola. La blockchain era divenuta la panacea di ogni male, ma in realtà sappiamo che non è esattamente così.
Elemento da non sottovalutare è il tempo intercorso tra il 2009 ed il 2017, otto lunghi anni in cui tanti continuavano a essere scettici, ma il problema era uno solo: la scarsa conoscenza.
Pare assurdo infatti come alla base dell’uso improprio, vi è sempre stata la scarsa formazione e informazione sul tema. Dopo il 2017 sono state numerose le piattaforme o società che hanno cavalcato l’onda, puntando esclusivamente a un obiettivo: il guadagno.
Ma quest’ultimo era lontano anni luce dal fine per cui Satoshi aveva dato vita a Bitcoin. Quest’ultimo dovrebbe rappresentare uno strumento di libertà finanziaria che chiunque senza limiti può ottenere partecipando alle operazioni di mining. È palese quindi come il messaggio insito all’interno di questa tecnologia sia stato traviato trasformandolo in strumento di guadagno.
Dall’analisi dei fatti fin qui raccontati capiamo come una tecnologia disruptive potenza, non si sia trasformata in disruptive atto.
Il valore venale prima di quello filantropico
Il celeberrimo Thomas Edison riferisce sempre di aver imparato all’inizio della sua carriera che le invenzioni non hanno valore a meno che qualcuno non sia disposto a pagarle. Poco più che ventenne infatti, ha inventato la macchina per il voto elettronico chiamata “registratore di voti elettrografici”.
Questa soluzione non solo avrebbe ridotto il tempo necessario per contare i voti, ma avrebbe fatto risparmiare molto denaro. Il risultato fu che nessuno la voleva. I legislatori del tempo erano contenti del processo inefficiente in atto perché consentiva ostruzionismo e politica.
Capiamo come Machiavelli nel “Il Principe” non avesse poi così torto sulla ripetitività di alcuni mindset che da sempre caratterizzano il nostro agire. Ma cosa effettivamente è cambiato negli ultimi due anni?
L’evoluzione della blockchain
Un’analisi qualitativa del settore italiano sottolinea che molte società, che operano anche sul fronte europeo ed internazionale, hanno scelto questa tecnologia perché ne hanno sposato la mission.
L’esempio che porto è quello di Stonize una giovane azienda impegnata nelle operazioni di cartolarizzazione attraverso l’utilizzo della tecnologia blockchain. Per chi non lo sapesse, con il processo di cartolarizzazione si deve intendere quella particolare operazione che tramuta un’attività finanziaria indivisibile o illiquida o parzialmente illiquida (ad esempio un pool di mutui) in un’attività divisibile e immediatamente cedibile sul mercato.
Società come questa hanno compreso prima, e sviluppato poi, un modus operandi che non costituisce un unicum. Purtroppo vi sono alcuni operatori internazionali che hanno scelto la sola via del marketing e del networking, perdendo di vista completamente la mission di Bitcoin e della blockchain. Infatti non di rado capita di imbattersi in simpatiche riproduzioni di supply chain senza la presenza di una chain degna di tale nome.
Paradossale ma vero, alcune aziende, spacciando il prodotto in oggetto come tracciato su blockchain, racchiudevano le informazioni del prodotto in un codice QR. Nessuna blockchain utilizzata, nessun dato notarizzato semplicemente qualche riga di testo. Capiamo bene che in tal caso, il ruolo della tecnologia farebbe sì la differenza, ma solo se davvero fosse utilizzata con ratio e non a soli scopi di marketing, con il rischio di confondere il consumatore.
A questo punto credo fermamente che il ruolo fulcro della trasformazione non solo digitale ma soprattutto di mindset è dei media, che devono essere in grado di dare informazioni corrette e che allo stesso tempo si devono far carico anche della formazione dei soggetti che intraprendono il percorso in questo settore. Il rischio, di non prendere con consapevolezza questa mission, è quello di rallentare l’effetto disruptive perdendo un’occasione unica nel proprio genere a livello globale.